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Quante sono le “anime morte” su Facebook?

Redazione | 4 Maggio 2009

Social

Il caso di un noto giornalista italiano che si è visto sopprimere il profilo, riapre la questione della scarsa correttezza dell’azienda nel gestire i rapporti con i membri del suo network e dell’assenza di un interlocutore con cui parlare.

Questa volta la notizia arriva dall’Italia e coinvolge uno dei giornalisti che segue da più tempo Internet e che ha partecipato alla costruzione ed evoluzione di uno dei siti più gettonati, quale Repubblica.it.
Vittorio Zambardino, blogger e come molti membro di Facebook, si è visto dall’oggi al domani cancellare il proprio profilo senza un perché. Come racconta il giornalista nel suo Blog, Scene Digitali, il 1 maggio il suo account ha cessato di esistere ed è comparso lo sterile messaggio che dice “password disabilitata”. Inutili i tentativi di inviare una mail al servizio clienti che ha risposto invitando l’utente a leggersi i termini del servizio (già  proprio quei termini del servizio che Facebook nei giorni scorsi aveva tanto pomposamente sottoposto a votazione da parte dei suoi utenti, come esempio di grande democrazia). Inutile anche l’attesa di una motivazione più specifica o il regalo di una mail firmata da un responsabile, qualcuno che presenti la sua faccia. Facebook com’è noto non ha una sede italiana e l’head quarter europeo per nostra stessa esperienza diretta è praticamente inesistente come interfaccia verso gli utenti italiani.
Anche ammesso che Zambardino avesse pestato i piedi a qualcuno con qualche post un po’ scomodo, se un social network non permette di esprimere le proprie opinioni che valore sociale ha?
Il giornalista sporgerà  denuncia all’Autorità  garante dei dati personali, ma la di là  del suo caso specifico è come si suol dire una questione di principio e un precedente (peraltro già  verificatosi) che potrebbe diventare una consuetudine. Così infatti commenta Zambardino:
“Ora, se permettete, qui il problema non è personale. …Qui il problema che abbiamo di fronte è quello dei diritti degli utenti di Facebook e delle regole della piattaforma, che non possono andare contro i principi che regolano lo stato italiano, oltre ad essere contrari ad ogni buon senso. Del resto queste grandi aziende sono molto “ragionevoli” quando sbarcano in paesi come la Cina: dicono che le leggi locali vanno rispettate. Quelle di un paese democratico possono essere ignorate?”