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Il Growth Hacking tra mito e realtà : sette domande sul Growth Hacking

Redazione | 22 Marzo 2016

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La parte più affascinante di questa professione? Luca Barboni: Senza dubbio l’apprendimento continuo. Come dicevo sono sempre sorpreso nel riscontrare […]

La parte più affascinante di questa professione?

Luca Barboni: Senza dubbio l’apprendimento continuo. Come dicevo sono sempre sorpreso nel riscontrare quanto il growth hacking venga affiancato raramente al pensiero Lean, quando in realtà  seguono la stessa identica linea. Nel Growth Hacking così come nella filosofia Lean Startup, il focus non è tirare avanti a colpo sicuro e raggiungere il risultato d’istinto al primo tentativo. Ciò che è veramente importante è testare il prima possibile e il più possibile, così che dopo 49 tentativi failliti il 50esimo sia un successo senza precedenti. Sostanzialmente un rivedere il fallimento come un’opportunità  di apprendimento. E questo approccio ti constringe spesso ad essere umile, non fare troppo affidamento a best practice di mercato, ma invece ri partire a imparare caso per caso a seconda del business su cui stai lavorando.

Raffaele Gaito: Ce ne sono diversi. Se ne dovessi scegliere uno direi sicuramente il fatto di dover sempre inventarsi qualcosa di nuovo e pensare a soluzioni “personalizzate”.
Certo, esistono dei casi noti e in tanti cercano di replicarli sui loro progetti. In realtà  non sempre ci riesci e quindi, molto spesso, devi tirare fuori qualche nuovo trucchetto.

Il web, come detto all’inizio della nostra intervista, ha creato nuove figure professionali. Secondo le statistiche di Monster, le professioni più richieste oggi, non esistevano dieci anni fa. La figura del Growth Hacker quale margine di crescita può avere nei prossimi anni? Quali sono i parametri di misurazione del reale apporto di un Growth Hacker in azienda?

Luca Barboni: Il growth hacking, così come ogni movimento, attraversa diverse fasi di vita. Io sono convinto che a lungo termine sarà  ri-inglobato dal marketing tradizionale diventando un nuovo standard della professione. Dopotutto il growth hacking è precisamente un nuovo modo di riconcepire il ruolo del marketing, e visto che ha dimostrato in numerosi casi la sua efficacia è molto probabilmente destinato a trasformare per sempre il nostro mestiere. In merito all’apporto in aziende, chiaramente il lavoro del growth hacker è strettamente legato ai risultati. Ma è anche vero che per portare risultati il growth hacker ha bisogno di sinergia e libertà  di manovra. Una cosa importantissima da capire è che il growth hacker non è una specie di super eroe solitario della crescita, e che non basta assumerne uno e continuare a gestire il business come si è sempre fatto mentre lui “si occupa della crescita dell’azienda”. Crescere è un obiettivo comune e richiede uno sforzo comune. Perciò da un lato il growth hacker dovrebbe essere prima capace di instaurare processi aziendali che possano supportare il suo lavoro e la crescita che ne discende, come ad esempio i cicli di testing per nuove strategie che potrebbero rivelarsi vincenti. Dall’altro lato deve poi essere inarrestabile nell’execution per aumentare le metriche che contano.

Raffaele Gaito: Come tutte le “buzz word” il rischio fuffa è dietro l’angolo. È molto facile dire che si fa Growth Hacking perché tanto nessuno può misurarlo. O almeno non con i parametri che si usavano nel marketing tradizionale (passami il termine).
Io personalmente credo che sia il mercato a fare la grossa selezione: se vendi fuffa prima o poi se ne accorgono, se sei in gamba e porti risultati prima o poi vieni premiato.
Sulla questione di misurare i risultati direi… dipende! Dipende dal progetto, dal tipo di mercato e dalla “libertà ” che viene data al Growth Hacker. Non è solo una questione di quantità  (ti faccio fare 1000 iscritti al giorno), ma anche di qualità  (che utenti sono? come convertono? ecc.).

Ci racconti due case history di Growth Hacking, anche non direttamente da te ideate, ma che possono essere raccontate per capire in cosa consiste questa nuove professionalità ? Dei veri casi studio che non possono essere non raccontati negl’anni a venire.

Luca Barboni: La prima che mi viene mente è un po’ paradossale e secondo me dimostra molto bene quanto sia ossessivo il focus sulla crescita per chi si occupa di growth hacking. In una certa fase Paypal aveva bisogno di fare numeri con la user acquisition, e questo li aveva portati a testare diverse strade. Dopo aver investito in diversi canali di marketing, il responso finale fu lanciare il programma per cui, una volta iscritto al servizio, l’utente si trovava automaticamente 10$ nell’account. Sostanzialmente equivale a scendere per strada, portafogli alla mano, e cercare di convincere i passanti a scaricarsi la tua app gratuita in cambio di 10€. E’ un qualcosa che può sembrare assurdo, ma se grazie ai test è già  stato validato che qualsiasi altro canale presenta un costo d’acquisizione ancora maggiore di 10$, perchè no? Comprare utenti” donando direttamente a loro il costo di acquisizione corrispondente che si spenderebbe in pubblicità  diventa improvvisamente una via percorribile.
L’altro caso che mi piace molto è AirBnB. Grazie ad un’attenta segmentazione e osservazione del comportamento utente, il team era riuscito a capire cosa distingueva l’utente soddisfatto del servizio da quello che dopo qualche tempo abbandonava la piattaforma. La conclusione impensabile a cui erano arrivati risiedeva nelle foto: infatti gli utenti che riportavano annunci con foto di alta qualità  tendevano ad avere migliori conversioni, perciò avere più successo, essere più soddisfatti, e rimanere iscritti. Nell’altro caso invece, con foto poco accattivanti, gli annunci convertivano meno e gli host finivano per stancarsi ben presto. Basandosi su questa analisi AirBnB ha dato vita al suo programma di fotografi affiliati che sono disponibili a venire a casa tua e a farti uno shoot professionale e ottimizzato per assicurarsi che tu sia pienamente soddisfatto del servizio e perciò un utente fedele (e dove c’è aumento di fidelizzazione, c’è crescita!)
Una cosa importante da chiarire quando si approcciano case history è che il growth hacking non sta nel singolo “growth hack”. Non basta trovare un caso di successo, copia incollare sul tuo business e ripetere per arrivare a crescere. Bisogna ricordare che il growth hacking non è tanto la singola strategia, ma il processo di generazione di idee e testing sistematico che l’ha messa in azione. Poi, se la strategia ha successo, diventa a tutti gli effetti una nuova best practice per l’intero mercato.

Raffaele Gaito: Tra i tanti casi studio che si raccontano in rete quello che preferisco è quello di AirBnB agli inizi. Nei primi mesi di vita, ogni volta che postavi un annuncio sulla loro piattaforma veniva automaticamente “duplicato” su Craigslist. Il bello è che Craigslist non ha mai avuto delle API per fare questa operazione. Il team di AirBnB si era semplicemente ingegnato per trovare un modo di forzare il posting sulla piattaforma concorrente.
Mi piace questo esempio perché fa capire che il growth hacking ha due lati ugualmente importanti: uno di mindset e uno di implementazione. Devi essere in grado di ideare una strategia atipica, ma dopo devi avere le conoscenze tecniche per metterla in pratica.
Ecco perché, molto spesso, figure di questo tipo vengono dal mondo dev e non da quello marketing!

 

E allora, buon Growth Hacking a tutti.

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