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Alla scoperta di Mkv

Redazione | 27 Settembre 2013

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Parlare di video digitale è come entrare in una giungla. Ci si imbatte subito in termini e in concetti astrusi […]

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Parlare di video digitale è come entrare in una giungla. Ci si imbatte subito in termini e in concetti astrusi per i neofiti e talvolta sfuggenti anche per chi ha più esperienza: container, codec, risoluzione, fotogrammi al secondo e così via. Soprattutto il primo termine, container, è particolarmente difficile da comprendere, sia perché è spesso confuso con codec sia perché ne esistono di diversi tipi in circolazione. Un container è un formato per la creazione di file che nella forma più completa possono ospitare al loro interno una varietà  di elementi: uno o più flussi video e audio, testi, immagini, capitoli, menu interattivi, informazioni sulla sincronizzazione, metadati in genere. I vari componenti sono compressi e codificati con diversi algoritmi, spesso non stabiliti dalle specifiche del container: è invece definita la loro struttura gerarchica, cioè come sono allocati all’interno del file. Un codec, contrazione dell’espressione inglese enCOder/DECoder, è un insieme di algoritmi per la compressione e la successiva decompressione di dati digitali, nel nostro caso di tipo video e audio.

 di Nicola Martello

ICON_EDICOLACome abbiamo detto, di container ne esistono parecchi e i più noti sono Avi, Flv/F4v, Mov/Qt, Mp4 e Xvid. Ma questi, a eccezione di Xvid, sono soggetti a royalty e non sono open source, alcuni sono anche datati (Avi, Flv, Mov/Qt), quindi non l’ideale per le esigenze di oggi. Rimane l’Xvid, che sebbene gratuito, open source e piuttosto recente (risale al 2001) non supporta i sottotitoli, i capitoli né i metadati in genere. Ma dalla fine del 2002 esiste un nuovo container privo di questi limiti, che in poco tempo ha guadagnato notevole popolarità : l’Mkv. Mkv è la contrazione di Matroska (www.matroska.org), derivazione di matryoshka, le tradizionali bambole in legno russe costruite in modo da entrare una dentro l’altra. Il nome richiama la caratteristica principale di questo container, cioè la capacità  di includere al suo interno una serie praticamente infinita di elementi multimediali ed eterogenei (video, audio, immagini, sottotitoli, metadati), ordinati in maniera gerarchica. Mkv è definito da uno standard open source, sviluppato inizialmente da Steve Lhomme a cui si è aggiunto in seguito un folto gruppo di sviluppatori. Questo container è stato pensato fin dall’inizio per essere multi-piattaforma, modulare, flessibile, compatibile con tutti i codec ed espandibile per adeguarsi anche alle esigenze future. Inoltre l’evoluzione più recente di Mkv supporta lo streaming e implementa strategie di codifica per correggere gli errori. Per il prossimo futuro è previsto il rilascio delle specifiche e delle librerie relative al supporto di menu interattivi simili a quelli dei Dvd Video, basati sul linguaggio Ebml (Extensible Binary Meta Language, una derivazione di Xml). Ebml è alla base dell’intera architettura di Mkv, e secondo gli sviluppatori permetterà  di adeguare il container alle esigenze, ai codec, ai formati multimediali futuri, il tutto senza compromettere la compatibilità  con gli archivi Mkv più vecchi.

Mkv è gratuito sia per gli utenti privati sia per gli sviluppatori e le aziende che vogliono implementarlo nei propri dispositivi multimediali e, a livello di file, esiste con quattro estensioni diverse. Mkv è l’estensione principale (di gran lunga la più diffusa) ed è relativa agli archivi che contengono video, audio e altre informazioni multimediali. Mk3d è specifica dei video stereoscopici, Mks è per i sottotitoli, infine Mka è pensata per i file audio. Sebbene Mka non abbia finora riscosso un grande successo, è interessante notare che questo container permette di unire al brano musicale (memorizzato con un qualsiasi formato audio come Wav, Mp3, Ac3, Dts o Flac) il testo della canzone, la copertina dell’album e altri tag e metadati. È anche possibile associare i capitoli, per saltare da una canzone all’altra quando l’intero album è memorizzato come un unico file. (…)

Estratto dell’articolo pubblicato sul numero 271 di PC Professionale