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Perché i dischi ibridi non sono così diffusi

Redazione | 30 Marzo 2015

Domanda: Le memorie di massa ibride Ssd/hard disk, fin dalla loro introduzione sul mercato, mi sono sembrate un’ottima idea per migliorare […]

Domanda: Le memorie di massa ibride Ssd/hard disk, fin dalla loro introduzione sul mercato, mi sono sembrate un’ottima idea per migliorare le prestazioni dei computer e mi aspettavo che si sarebbero presto diffuse. Devo invece constatare che questi sistemi ibridi sono molto rari e relegati a compiti particolari. Potete spiegarmi i motivi della loro limitata diffusione? Tenendo conto dei prezzi odierni delle memorie flash da 8 Gbyte e dei controller necessari a pilotarle, il costo aggiuntivo di una cache flash dovrebbe essere di una decina di euro circa. Invece i sistemi ibridi con cache da 8 Gbyte costano molto di più dei sistemi con solo hard disk. Come mai? Quando si parla di prestazioni, si dice sempre che tali sistemi ibridi velocizzano l’accesso in lettura ai file usati frequentemente, ma non apportano benefici durante la scrittura dei dati. Non è forse possibile salvare nella cache Ssd i dati in attesa di essere scritti durante le fasi intense dell’elaborazione e poi, quando il computer è sottoutilizzato, spostare tali dati sull’hard disk? Perché non viene fatto? Ho inoltre notato che tutte le memorie flash usate come cache sono di 8 Gbyte. Tale dimensione è adeguata se si usa questo buffer solo per i file da leggere e non per quelli da scrivere! Tuttavia, volendo usare la cache anche in scrittura, per alcune applicazioni come il montaggio video, può essere necessario un buffer più grande per contenere tutti i dati prima di iniziare la copia fisica di tali dati su hard disk. Perché non vengono utilizzate cache da 16 e da 32 Gbyte, che comunque oggi avrebbero costi accettabili?

I dischi ibridi mettono a disposizione grandi spazi di archiviazione in fattori  di forma di dimensioni contenute. Questa tecnologia è attualmente utilizzata solo  nei computer portatili e nei dispositivi palmari.

I dischi ibridi mettono a disposizione grandi spazi di archiviazione in fattori di forma di dimensioni contenute. Questa tecnologia è attualmente utilizzata solo nei computer portatili e nei dispositivi palmari.

Risposta: Il principale motivo alla base dello sviluppo dei dischi ibridi era l’elevato costo della memoria flash ad alte prestazioni, che rendeva impraticabile la produzione di memorie di massa di dimensioni adeguate. Per ospitare un sistema operativo come Windows 7 sono infatti necessari almeno 60-100 Gbyte e inizialmente il costo di questa quantità  di memoria flash di poteva superare anche il migliaio di euro. In uno scenario di questo tipo i dischi ibridi avrebbero avuto una propria fascia di mercato in quanto, pur essendo equipaggiati di una quantità  ridotta di memoria flash, avrebbero fornito prestazioni in lettura paragonabili a quelle delle unità  a stato solido.

Successivamente lo sviluppo delle tecnologie Eeprom (Electrically Erasable Programmable Read-Only Memory) ha reso possibile la produzione di massa delle memorie flash con il conseguente abbassamento dei prezzi ed è stato finalmente possibile realizzare unità  Ssd da 128, 256, 512 Gbyte e perfino da 1 Tbyte. Ciò ha messo fuori mercato i dischi ibridi, relegandoli a situazioni particolari come nelle configurazioni nelle quali non è possibile affiancare un’unità  Ssd ad un hard disk a piattelli magnetici per mancanza di spazio, come nei notebook o in altri dispositivi palmari. La quantità  di memoria flash con cui sono equipaggiati i dischi ibridi è sufficiente per memorizzare nella cache i blocchi ai quali l’utente accede più spesso. Ricordiamo infatti che in molti casi, quando si apre un file, i dati in esso contenuti non vengono letti per intero.

È quindi possibile, ad esempio, che i dati realmente consultati in un database di decine di Gbyte siano circoscritti in una sezione di pochi Mbyte. Gli algoritmi di caching dei dischi ibridi sono in grado di individuare quali blocchi sono i più utilizzati e replicano solo questi all’interno della memoria flash. Adottando uno schema di questo tipo 8 Gbyte di cache sono generalmente sufficienti per velocizzare tutti gli accessi ripetuti ed equipaggiare il disco ibrido con una quantità  maggiore di memoria flash ne aumenterebbe il costo senza apportare reali benefici sotto il punto di vista delle prestazioni. Non si avrebbero miglioramenti nemmeno nel caso descritto dal lettore, ovvero durante l’editing audio/video, perché in questo tipo di operazioni ogni sezione del flusso di dati viene presa in considerazione una sola volta e quindi non raggiunge un numero di accessi ripetuti tale da farla entrare all’interno della cache.

Non vi è quindi alcun aumento di prestazioni nell’accedere in maniera sequenziale a file di grandi dimensioni con un disco ibrido. L’utilizzo di una cache in scrittura nei dischi ibridi è concettualmente possibile ma porrebbe problemi sotto il punto di vista dell’usura: essendo la quantità  di memoria flash limitata, il numero di cancellazioni e riscritture si accumulerebbe rendendola in breve tempo inutilizzabile. Inoltre si renderebbe necessaria l’implementazione di schemi complessi per garantire la coerenza dei dati tra il contenuto della cache ed i piattelli magnetici. Infine il beneficio offerto da uno schema di funzionamento di questo tipo si annullerebbe nei sistemi sottoposti a continui accessi ai dati, nei quali la pipeline di gestione della cache non avrebbe mai tempo di svuotarsi. Considerato il fatto che è ormai possibile equipaggiarsi con unità  Ssd da 240 Gbyte con una spesa di poco superiore ai 100 euro, riteniamo improbabile che i produttori investiranno nello sviluppo di nuovi modelli di dischi ibridi e ciò porterà  nel tempo ad un ulteriore calo della diffusione di questa tecnologia.