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Canone RAI su PC e smartphone: una tassa antistorica

Redazione | 21 Febbraio 2012

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Non piace a nessuno la proposta di estendere il pagamento dell’abbonamento TV anche alle imprese e studi professionali in possesso […]

Non piace a nessuno la proposta di estendere il pagamento dell’abbonamento TV anche alle imprese e studi professionali in possesso  di personal computer in grado di visualizzare le trasmissioni radiotelevisive. Il tam tam dell rete ha già  da giorni bocciato la proposta via Twitter con termini abbastanza espliciti e oggi si aggiunge alla protesta anche la voce di Confindustria Digitale che definisce tale provvedimento una forzatura giuridica in contrasto con l’agenda digitale, ma soprattutto un’iniziativa fuori dal tempo.

Il balzello che la Rai vorrebbe imporre a professionisti e imprese per il possesso di PC, tablet e smartphone in grado di vedere i programmi televisivi risale infatti a un regio decreto del 1938 che imponeva “a chiunque detenesse uno o più apparecchi atti alla ricezione di radioaudizioni l’obbligo del pagamento del canone di abbonamento”,   rispolverato oggi nel tentativo di applicarlo ai nuovi dispositivi di comunicazione digitale.

Nei giorni scorsi numerose aziende e studi professionali hanno iniziato a ricevere l’avviso di pagamento del canone Rai per gli apparati tecnologici in loro possesso, senza che peraltro venisse specificato quale tipo di dispositivi sia soggetto alla legge.
Le associazioni dei consumatori e Rete Imprese Italia (che raggruppa Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Cna e Casartigiani) sono già  sul piede di guerra; Aduc ha istituito anche un apposito servizio telefonico per le imprese che chiedono chiarimenti e lo scorso 17 febbraio è stata fatta un’interrogazione parlamentare al Ministero dello Sviluppo Economico e dell’Economia e Finanze da parte di due senatori.

Oggi alla protesta si aggiunge anche Confindustria Digitale di cui riportiamo la dichiarazione del presidente Stefano Parise.
“i PC non sono stati concepiti per la ricezione di trasmissioni radiotelevisive, ma per innovare l’organizzazione del lavoro e la comunicazione. Il fatto che possano ricevere segnali televisivi lo si deve al processo evolutivo del mondo digitale, di cui lo stesso settore radio tv ha fortemente beneficiato per il suo sviluppo. Quindi l’estensione del canone Rai agli apparati dell’Ict, la pretesa di associarlo alla titolarità  di un abbonamento a banda larga, il richiamarsi a una legge del ‘38 per tassare tecnologie del duemila, sono frutto di un’interpretazione del tutto arbitraria non supportata  da alcun  riferimento legislativo. Come settore dell’Ict ci preoccupa di essere oggetto di continui tentativi di aumentare il carico fiscale, già  molto pensante, sui prodotti dell’innovazione tecnologica, invece di essere valorizzato come chiave per lo sviluppo e la crescita del Paese. Consideriamo la visione miope e arretrata che affiora da parte di un importante ente pubblico tecnologico come la Rai,  un segnale molto negativo  e chiediamo che quest’iniziativa, in netta contraddizione con la politica del Governo avviata con il Dl semplificazioni che punta all’attuazione dell’agenda digitale in Italia, venga bloccata”.