È un quadro a tinte fosche, quello tratteggiato dal Garante per la Privacy Antonello Soro circa il futuro della privacy delle persone: tra sistemi di analisi dei dati nei social network, funzioni di intelligenza artificiale presenti su tanti servizi, dispositivi indossabili connessi al web e la criminalità informatica, secondo il responsabile dell’authority, sono tantissime le sfide da affrontare per continuare a garantire questo “diritto universale” in futuro.
Nella sua relazione annuale, il Garante non manca di prendere in considerazione anche la minaccia rappresentata dal cyber terrorismo, passando per l’archiviazione di montagne di dati (con tanto di profilazione degli utenti), senza dimenticarsi poi di quanto avviene con le intercettazioni a tappeto, passando poi anche a questioni che riguardano strettamente la persona, come i dati digitali sulla salute.
Il modello per il futuro della tutela della privacy – secondo Soro – è rappresentato dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, che dovrebbe essere promosso anche oltre il Vecchio Continente, e valorizzato come un vero e proprio baluardo a difesa dei valori liberali delle nostre democrazie, che non possono essere rimessi in discussioni a causa di una minaccia terroristica o per ragioni economiche.
Le intercettazioni – secondo Soro – per quanto indispensabili nella lotta al terrorismo, non devono diventare una indiscriminata limitazione della libertà personale per milioni di individui, andando oltre il concetto di prevenzione del crimine che potrebbe portare a una società vittima più delle sue stesse paure che di una reale minaccia. Una società dove diritti conquistati in secoli verrebbero annullati ad ogni emergenza.
Il Garante non manca nemmeno di sottolineare come la criminalità informatica rappresenti una sfida globale, considerando che “fatturerebbe” qualcosa come 500 miliardi di euro all’anno, non molto meno rispetto agli introiti di chi gestisce il traffico di stupefacenti. Tra le vittime italiane preferite dal cyber crimine ci sono le aziende, che spesso non adottano soluzioni a protezione dei loro dati.
L’analisi ha poi toccato anche l’ambito dei media, richiamati ad una maggior responsabilità nell’informare, senza fare sensazionalismo e senza pubblicare fatti relativi alla vita privata delle persone a meno che non siano di interesse pubblico.