Al centro del provvedimento in varo oggi alla Camera, c’è la possibilità di estendere i poteri della magistratura nel chiedere la chiusura di siti web, in caso di apologia o istigazione di reato.
Sono giornate calde per la Rete, non passa giorno che al centro della cronaca non ci sia una nuova notizia che vede coinvolti vecchi e nuovi censori di internet, nel tentativo di mettere inutili bavagli.
I gruppi nati su Facebook inneggianti all’attentato del Presidente del Consiglio di domenica scorsa, e subito chiusi dallo stesso social network, hanno messo in moto nuovamente la macchina di chi chiede nuove regole per Internet.
Lo stesso social network per la prima volta si è espresso in una nota precisando che “non è permesso pubblicare contenuti minacciosi, promuovere o incoraggiare atti violenti, contro chiunque e in qualunque luogo. Provvederemo a rimuovere qualunque contenuto di questo tenore”.
Oggi si aspetta il disegno di legge Maroni, che all’inizio doveva essere un decreto, quindi con tempi di attuazione più rapidi, ma che poi viste le proteste arrivate da entrambi gli schieramenti politici contro una probabile limitazione delle libertà di espressione su web, è stato tramutato in un disegno di legge con più ampi spazi di dibattito.
Il punto però rimane immutato ed è quello di dare alla magistratura strumenti più efficaci per esercitare un controllo su Internet e su quanto viene pubblicato, spesso anonimamente o sotto pseudonimo sul web.
Strumenti più efficaci, significa come anticipava lo stesso Maroni, possibilità di oscurare i siti web. Una misura che in passato la magistratura ha già preso in casi eccezionali (vi ricordate di Pirate Bay, oscurato dalla procura di Bergamo un anno e mezzo fa, chiedendo agli Isp di inibire l’accesso alle pagine del sito?) e che ora verrebbe riproposta nei casi di siti e social network che inneggiano alla violenza. Il principio, di per sé giusto – perchè nessuno può utilizzare la rete in forma più o meno anonima, per diffamare qualcuno o ancora peggio istigare a compiere reati- rischia però di prestare il fianco a pericolose generalizzazioni, oltre a essere difficilmente realizzabile anche da un punto di vista tecnico (ve lo immaginate un magistrato che ordina il sequestro di tutti i DNS del mondo?). Piuttosto l’invito è ad applicare le leggi già esistenti anche alla rete, senza creare nuovi allarmismi.