Il successo di Spotify è sicuramente ben noto a tutti gli amanti dello streaming musicale: la società svedese, tramite i suoi modelli di abbonamenti free e a pagamento, finora, ha permesso a tutte le fasce di utenti di gradire questa forma di arte nella propria modalità preferita, offrendo anche una forma di iscrizione in cui, grazie all’utilizzo di spot pubblicitari, non è necessario pagare alcunché per fruire del servizio di streaming.
Ora però, complice probabilmente anche la pressione dei concorrenti che si sta facendo sempre più elevata e l’avanzare all’orizzonte di una riforma del sistema delle royalty negli USA, Spotify ha deciso di ottimizzare gli introiti attraverso la vendita degli spazi pubblicitari agli inserzionisti, comunicando che punta a monetizzare meglio attraverso la vendita di dati come età , sesso, playlist e generali musicali preferiti durante la fruizione del servizio.
In questo modo, gli acquirenti degli spot da 15-30 secondi che si intervallano tra un brano e l’altro nel servizio di streaming gratuito, potranno ottimizzare i risultati derivanti da proposte pubblicitarie più mirate, e allo stesso modo, Spotify riuscirà ad ampliare i suoi margini su questa importante voce di introiti che, lo ricordiamo, in futuro potrebbe preservare la redditività della società svedese se dovesse pagare più royalty negli USA.
A ben vedere, l’approccio adottato dalla società di Daniel Ek non è molto differente da quanto fanno già da molto tempo altri due colossi del mondo hi tech come Google e Facebook. Per Spotify, questa scelta si rivelerà essere quella giusta per riuscire a migliorare le sue performance finanziarie, di fronte a una sostanziale “crescita zero” degli abbonati a pagamento al servizio di streaming musicale?