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H.265/Hevc: il video in altissima risoluzione occupa meno spazio

Redazione | 29 Febbraio 2016

H.265/Hevc, reso pubblico nel 2013, è il successore di H.264/Mpeg-4 Avc e vanta un’efficienza doppia rispetto al predecessore. In altre […]

H.265/Hevc, reso pubblico nel 2013, è il successore di H.264/Mpeg-4 Avc e vanta un’efficienza doppia rispetto al predecessore. In altre parole, a pari qualità  visiva produce file video grandi la metà . Proprio grazie alla sua efficienza, H.265 è stato scelto come codec d’elezione per le trasmissioni Tv Ultra Hd e per il futuro Ultra Hd Blu-ray.

H.265 è pensato per video con risoluzioni fino a 8.192 x 4.320 pixel, cadenze che arrivano a 300 fps e, come gli Mpeg precedenti, continua a usare le codifiche intra frame e inter frame. In altre parole, il primo fotogramma di un gruppo di immagini (Gop, Group of Pictures) è compresso con algoritmi che considerano solo i pixel in esso contenuti (intra frame), mentre degli altri fotogrammi sono memorizzate e compresse solo le parti differenti rispetto al primo (inter frame). H.265 divide l’immagine in una griglia, con ogni cella grande al massimo 64 x 64 pixel, a sua volta suddivisibile in quadrati a gruppi di quattro, secondo una struttura gerarchica ad albero. Per la predizione del movimento dei blocchi di pixel all’interno di un frame, Hevc ha a disposizione 33 direzioni. Hevc impiega due filtri per ridurre gli artefatti, Dbf (De Blocking Filter) e Sao (Sample Adaptive Offset). Il primo è simile a quello usato in H.264, il secondo aumenta il contrasto dei bordi, riduce le oscillazioni di luminosità  (ringing) in prossimità  di questi ultimi e limita le solarizzazioni nelle zone con colori sfumati.

Il successo dell’H.265 sembrava inarrestabile fino a quanto le due società  Mpeg La e Hevc Advance, incaricate di riscuotere i pagamenti delle royalty sui numerosi brevetti alla base degli algoritmi impiegati nel codec, hanno pubblicato le tariffe. La prima chiede 0,20 dollari per ogni unità  che implementa l’H.265, esclusi i primi 100.000 pezzi. La seconda esige fino a 2,60 dollari per dispositivo e in più lo 0,5% delle entrate ottenute con lo streaming dei contenuti codificati con H.265. Come è facile immaginare, è quest’ultima richiesta che ha fatto gridare allo scandalo, dato che costringerebbe anche i distributori di video on demand come Netflix e Amazon Prime a pagare cifre a molti zeri. Tariffe così elevate stanno portando alla ribalta codec alternativi all’H.265, in particolare VP9 di Google e Daala di Mozilla e Xiph.org. Entrambi i codec sono open source e liberi da royalty, ma finora – nonostante gli annunci dei rispettivi creatori – non hanno ancora dimostrato di aver raggiunto (tantomeno superato) H.265 in quanto a qualità  visiva a pari bit rate. Per di più, Daala è tuttora in piena fase di sviluppo.

H.265/Hevc

H.265 suddivide l’immagine in una serie di quadrati grandi al massimo 64 x 64 pixel. Ogni cella è divisibile in quadrati più piccoli, a gruppi di quattro, a seconda dei dettagli presenti.

VP9 fa parte della serie VP (Video Processing) di On2 Technologies, un’azienda che ha creato nel 2000 VP3, diventato open source nel 2001 ed evoluto poi in Theora. On2 è stata acquistata nel 2010 da Google, che ha proseguito l’evoluzione della famiglia VP garantendone la libertà  da royalty e l’accesso libero al codice. VP9 è parte del progetto WebM, open source, sponsorizzato da Google per il video su Web, e supporta gli spazi colore Rec.601, 709 e 2020. Il codec suddivide le immagini in blocchi grandi al massimo 64 x 64 pixel ma questi non devono essere per forza quadrati come con H.265, possono essere anche rettangoli con un rapporto 2:1 tra i lati maggiore e minore, caratteristica che esalta l’efficienza. Di contro, VP9 ha a disposizione solo 10 direzioni per la previsione del movimento dei blocchi di pixel, mentre H.265 ne può usare 33. I profili formalizzati sono quattro e contemplano la codifica da 8 a 12 bit per colore primario e livelli di compressione cromatica che vanno da 4:2:0 a 4:4:4, con o senza canale alfa.

Per quanto valido, un codec non va da nessuna parte se non ha il supporto dei produttori hardware, perciò Google ha stretto accordi non solo con le principali aziende che fabbricano Soc e processori ma anche con quasi tutte le società  che costruiscono televisori. Nel prossimo futuro, quindi, VP9 potrà  essere implementato in hardware in molti dispositivi video: Tv, media player, smartphone, tablet e altri ancora. Le Tv più recenti di Sony, per esempio, sono già  pronte per VP9. Google ha inoltre dichiarato di voler usare il proprio codec per i video Ultra Hd/4K inseriti in YouTube. VP9 ha già  un successore: VP10 è stato annunciato per l’anno prossimo e, secondo le dichiarazioni di Google, avrà  un bit rate dimezzato rispetto a VP9 e a H.265, mantenendo una qualità  visiva simile.

Lo sviluppo di Daala (il nome deriva da un personaggio della saga di Guerre Stellari) è cominciato nel 2013 ed è tuttora in corso, a cura di Mozilla e di Xiph.org, resa famosa dai codec audio Ogg Vorbis e Opus. Daala sarà  open source e royalty free, ma, almeno per ora, più che per l’Ultra Hd è pensato per lo streaming video e per le applicazioni in tempo reale, come le video conferenze. Daala è stato proposto per il progetto Netvc (Internet Video Codec) del gruppo Ietf (Internet Engineering Task Force).

Il codec impiega la trasformata discreta del coseno ma, a differenza di H.265 e VP9, suddivide l’immagine in blocchi parzialmente sovrapposti, così da ridurre in maniera sensibile gli artefatti che sono visibili ai bordi di ogni sezione, senza bisogno di usare filtri addizionali. I coefficienti della trasformata sono codificati tramite quantizzazione con vettore percettivo (Pvq, Perceptual Vector Quantisation), che approssima bene il comportamento del nostro sistema di visione.

Nicola Martello