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Fotocamere: otto ultrazoom bridge sotto test

Redazione | 28 Maggio 2013

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L’idea di poter utilizzare un’unica fotocamera in ogni esigenza di ripresa è il sogno di molti fotografi. Un solo corpo, […]

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L’idea di poter utilizzare un’unica fotocamera in ogni esigenza di ripresa è il sogno di molti fotografi. Un solo corpo, con un solo obiettivo zoom per eseguire ritratti, foto di paesaggio, macro, reportage, foto delle vacanze e altro ancora. Il tutto condito con una qualità  elevata. Sembra un sogno irrealizzabile, ma le nuove bridge ultrazoom si propongono proprio per questo scopo. È bene sottolinearlo subito, come vedremo, non è proprio tutto oro ciò che luccica. Infatti, anche se il segmento delle bridge camera ha fatto un grande balzo avanti per qualità  ed ergonomicità , le loro prestazioni non possono ancora eguagliare quelle di un prodotto specifico, come una reflex o anche una compatta high-end. È però indubbio che poter utilizzare un solo strumento per più campi d’applicazione può far chiudere un occhio ai fanatici della nitidezza a tutti i costi. Questo mese mettiamo quindi a confronto otto modelli, compresi tra i 200 e i 500 euro. Si tratta quindi di cifre “importanti”, ma giustificate dalla grande versatilità  e difficoltà  costruttiva di questi modelli. Infatti, se il settore delle compatte “standard” soffre la diffusione di smartphone con prestazioni fotografiche sempre più elevate, questa categoria offre ancora tutte quelle funzionalità  che uno smartphone, anche top di gamma, non può fornire.

di Valerio Pardi

ICON_EDICOLAL’elemento chiave delle bridge è lo zoom, o meglio, la sua escursione. Se nella scorsa comparativa (numero 247 di PC Professionale), i modelli top di gamma vantavano un obiettivo 30x, quelle in prova questo mese si spingono abbondantemente oltre, raggiungendo i 50x di escursione focale ottica. Ricordiamo come la progettazione di uno zoom sia molto più complessa di un’ottica a focale fissa, per quanto riguarda la correzione delle aberrazioni e dell’uniformità  di resa a tutte le focali. Se a questo aggiungiamo che, rispetto alle generazioni precedenti, i sensori hanno mantenuto dimensioni immutate (il classico 1/2,3″) mentre la risoluzione supera adesso anche i 20 Mpixel, è evidente come il potere risolutivo di queste ottiche zoom debba rimanere su valori elevatissimi, per non mostrare cedimenti visibili e sfruttare le minuscole dimensioni dei singoli fotorecettori.

Sulla carta questi due aspetti mal si conciliano con prodotti di massa, dal prezzo, tutto sommato, contenuto. Eppure lo sviluppo tecnologico e le esperienze maturate sulle precedenti serie di bridge ultrazoom ha permesso alle aziende di offrire oggi fotocamere con caratteristiche – sulla carta – decisamente avanzate e allettanti. Se l’obiettivo è l’elemento sicuramente predominante di queste fotocamere, non bisogna dimenticare funzioni e caratteristiche di contorno, che potrebbero modificare sensibilmente il giudizio e la reale fruibilità  di ogni singolo modello. Tralasciando per un momento la reale utilità  di avere con sé una fotocamera con un obiettivo corrispondente a una focale di oltre 1.000 millimetri, va da sé che gestire un simile “cannone”, seppur di dimensioni fisiche molto ridotte, non è un aspetto da sottovalutare.

Avere tra le mani uno zoom 50x significa anche che, alla massima focale, evidenzierà  un eventuale micromovimento del fotografo di 50 volte rispetto alle stesse condizioni di ripresa, ma con la focale minima dello zoom. La tecnica di ripresa quindi assume un ruolo fondamentale per evitare foto mosse, così come un ruolo fondamentale lo gioca il sistema di stabilizzazione implementato nella fotocamera. Non tutti i sistemi di riduzione delle vibrazioni offrono le medesime prestazioni e, anche nel migliore dei casi, occorre applicare la corretta tecnica di scatto per sfruttare appieno questa utile, se non addirittura indispensabile, funzionalità . Per approfondire le tecniche di ripresa vi rimandiamo al box specifico.

Stabilizzatori, due soluzioni diverse

Occorre premettere una puntualizzazione su i diversi sistemi di stabilizzazione delle immagini. Tutte le fotocamere in prova sfruttano il sistema ottico (che per compensare le vibrazioni prevede un gruppo di lenti nell’obiettivo); tutte tranne Olympus che ha implementato la soluzione sensor shift, che prevede il movimento del sensore stesso. Ed entrambe queste tecnologie hanno pro e contro.

In questo caso (e in generale con tutte le fotocamere compatte) i due sistemi offrono sulla carta prestazioni confrontabili e le differenze riscontrabili sono da ricondurre più al grado di raffinatezza del sistema utilizzato, che alla tecnologia in sé. In generale le soluzioni sensor shift, non modificando la posizione delle lenti dell’ottica, mantengono una qualità  dell’immagine invariata anche con il sistema attivo. I vantaggi delle soluzioni ottiche, integrate negli obiettivi, sono invece riscontrabili con le reflex e le mirrorless. Con le prime, infatti, la stabilizzazione si può apprezzare direttamente nel mirino ottico della fotocamera. Questo facilita l’utilizzo sia al fotografo stesso durante l’inquadratura sia al sistema autofocus, che leggerà  un soggetto più stabile e fermo, migliorando la precisione della messa a fuoco automatica. Inoltre un sistema implementato nell’ottica potrà  essere progettato con le caratteristiche – sia meccaniche che di algoritmi software – mirate per la focale a cui verrà  abbinato, mentre un sistema sensor shift dovrà  adattarsi alle varie ottiche montate sulla fotocamera. (…)

Estratto dell’articolo pubblicato sul numero 267 di PC Professionale

Le fotocamere in prova

  • Canon Powershot SX50 HS
  • Canon Powershot SX500 iS
  • Fujifilm Finepix HS50 EXR
  • Fujifilm Finepix SL1000
  • Nikon Coolpix P520
  • Olympus SP-820uZ
  • Sony Cybershot H200
  • Sony Cybershot HX300