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Stampa 3D dal modello all'oggetto stampato

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Stampa 3D, dal modello all’oggetto stampato

Nicola Martello | 1 Febbraio 2018

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La progettazione di un oggetto è solo il primo passo nel processo di stampa 3D. L’elemento va preparato per la stampa e la macchina 3D deve essere comandata in modo che funzioni sempre al meglio. Vediamo insieme i programmi che si occupano di queste due fasi: gli slicer e gli host software.

Dopo aver esaminato, nel numero di agosto 2017, gli applicativi specializzati nella progettazione e nella modellazione a tre dimensioni, in questa seconda parte dell’approfondimento dedicato al mondo della stampa 3D focalizzeremo l’attenzione sulle altre due categorie di programmi coinvolti nel processo di creazione di un oggetto a tre dimensioni. Il primo gruppo è costituito dagli slicer, software che esaminano la forma 3D, la sezionano in tante sottili fette orizzontali e generano le istruzioni che descrivono il movimento dell’estrusore della stampante. Gli host software (talvolta chiamati anche client software) sono invece necessari per interfacciarsi in maniera diretta con la macchina 3D, al fine di permettere all’utente di comandarne il funzionamento.

Questi due tipi di programmi sono necessari perché le stampanti 3D sono “stupide”: non sono in grado di interpretare le forme geometriche a tre dimensioni, neanche quelle convertite nel formato Stl, formalizzato appositamente per la stampa 3D (Stl sta per Stereolithography, stereolitografia, il primo processo costruttivo ideato per produrre oggetti a tre dimensioni). Quello che la stampante si aspetta, infatti, è una lista di istruzioni molto semplici, che indichino dove muovere l’estrusore, a che velocità, quanto materiale stendere, quale temperatura mantenere per l’ugello e per il piatto di base. Durante la progettazione con un Cad, il modello 3D è di solito descritto da funzioni matematiche, che determinano la forma e l’andamento delle sue superfici.

Nel processo di esportazione in Stl, il Cad spezzetta queste superfici in un reticolo (mesh) di triangoli, ciascuno descritto dalle coordinate cartesiane nello spazio a tre dimensioni dei tre vertici che lo compongono. Ovviamente più piccoli – e di conseguenza più numerosi – sono questi triangoli, migliore sarà il grado di approssimazione della superficie originale, ma maggiore sarà anche la dimensione del file prodotto in output. Il passo successivo per avvicinarsi all’oggetto reale consiste nel trasformare le forme costituite da mesh di triangoli in una serie di sottili sezioni orizzontali. Anche in questo caso, più sottili sono le sezioni migliore sarà il livello di dettaglio del prodotto finito.

Ma perché è necessario “affettare” l’oggetto? Per rispondere a questa domanda bisogna considerare il funzionamento di una tipica stampante 3D, che costruisce l’oggetto stendendo il filo fuso uno strato orizzontale alla volta, lungo il perimetro esterno della forma tridimensionale. Il ragionamento vale anche nel caso delle altre tecnologie di stampa 3D: se la macchina è di tipo stereolitografico, la luce ultravioletta solidifica la resina liquida – un sottile strato alla volta – in corrispondenza dei bordi dell’oggetto, se invece l’apparecchio impiega al posto della resina liquida una polvere metallica, quest’ultima è stesa e pressata in strati orizzontali e poi fusa da un laser lungo il perimetro dell’elemento. Insomma, in tutti i casi l’oggetto viene costruito uno strato orizzontale alla volta, quindi anche il file in input deve essere codificato di conseguenza, come una serie di percorsi orizzontali sovrapposti che l’estrusore, il raggio di luce ultravioletta o il laser dovranno seguire, uno dopo l’altro.

Il file con la descrizione dell’oggetto “affettato”, comunque, non basta: bisogna far sì che queste informazioni, scritte nel linguaggio chiamato Gcode (ne parleremo in dettaglio più avanti) arrivino alla stampante. A questo punto entrano in campo gli host software, applicativi piuttosto semplici che prendono in carico il file in Gcode e lo inviano alla stampante. Questa classe di applicativi non è strettamente essenziale, in realtà se ne può fare anche a meno: la maggioranza delle stampanti in commercio è in grado di leggere un file Gcode salvato in un pendrive Usb o in una scheda Sd. Ma, come vedremo meglio più avanti, gli host software offrono ancora notevoli vantaggi per gli utenti avanzati, che vogliono comandare e controllare diverse stampanti da remoto tramite un semplice browser Web.

Sempre più spesso i programmi di slicing e gli host software si sovrappongono parzialmente a livello di funzioni: i primi sono talvolta dotati di una sezione capace di connettersi alla stampante, mentre i secondi possono includere uno o più slicer open source, accessibili dall’interfaccia del programma principale. (… continuate a leggere sul numero 323 di PC Professionale)