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Redcore, il browser cinese ha plagiato Chrome

Alfonso Maruccia | 20 Agosto 2018

Google Servizi Web

Una start-up asiatica deve rimangiarsi le promesse – almeno in parte – sulle caratteristiche autarchiche del suo browser, un software che voleva essere tutto “cinese” ed è invece per buona parte basato su codice “americano”.

Doveva essere il primo browser cinese “fatto in casa”, un software interamente realizzato da sviluppatori asiatici a rappresentare l’indipendenza dallo strapotere tecnologico americano. E invece Recode, sviluppato dall’omonima start-up precedentemente nota come AllMobilize, è tutto fuorché “indipendente” dal codice realizzato – almeno in buona parte – dai programmatori yankee.

Il fatto che Recode non fosse proprio un browser autoctono è emerso quasi subito grazie alle prime analisi degli utenti cinesi, che una volta scaricato il software hanno individuato – all’interno della cartella di installazione – un file eseguibile chiamato “Chrome.exe” e svariate immagini con il logo di Chrome.

Web cinese

Verifiche successive hanno poi confermato l’origine di Recode, un browser che è a tutti gli effetti impegnato a riciclare parti di codice già incluse in una vecchia versione di Chrome (49). Il browser di Google è insomma il nucleo originale di Recode, con quest’ultimo a rappresentare un’imitazione non particolarmente avanzata di quanto già disponibile da tempo nel mercato internazionale dei browser.

Alla fine anche Gao Jing, fondatrice di Recode, ha dovuto ammettere la natura da imitatoria del browser ma ha respinto le accuse di plagio: Recode è un software che poggia “sulle spalle di un gigante” (americano) per realizzare un prodotto innovativo – ancorché tecnologicamente arretrato.

Per il momento il download di Recode non è più disponibile sul sito ufficiale, e sul medio periodo i problemi per la start-up cinese potrebbero farsi seri: a far discutere non è tanto l’uso del codice sorgente (parzialmente open source) di Chrome, quanto piuttosto le dichiarazioni sulla natura tutta locale del software che aveva garantito all’azienda una certa popolarità presso il governo di Pechino e una raccolta fondi totale (dal 2013 in poi) di 60 milioni di dollari.