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Mint: in prova Linux per il desktop

Dario Orlandi | 20 Aprile 2016

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Gli sviluppatori di Mint propongono poi una versione basata su Mate, un ambiente desktop derivato da Gnome 2 leggero e […]

Gli sviluppatori di Mint propongono poi una versione basata su Mate, un ambiente desktop derivato da Gnome 2 leggero e personalizzabile grazie al supporto di vari window manager; questa variante è particolarmente adatta a donare nuova vita ai computer più vecchi e obsoleti. Inoltre, sul sito del progetto Mint si trovano anche versioni basate sui desktop Kde e Xfce.

Per un lungo periodo gli sviluppatori di Mint hanno cercato di mantenere il ritmo di aggiornamento frenetico imposto da Ubuntu, offrendo una nuova release ogni sei mesi; questa politica ha però portato a qualche versione non perfettamente stabile e un po’ troppo ricca di bug, che ha in parte minato la reputazione della distribuzione. Anche per questo motivo, nel 2014 gli sviluppatori hanno deciso di basare le successive release soltanto sulle versioni Lts di Ubuntu (Long term support, supporto a lungo termine), rilasciate da Canonical ogni due anni e poi supportate per un quinquennio. L’ultima major release di Mint è la 17, e risale alla primavera del 2014. Da quel momento i curatori del progetto hanno potuto smettere di rincorrere le release di Ubuntu, per concentrarsi invece sulle funzioni del sistema operativo e sul miglioramento dell’esperienza d’uso. I risultati di questa nuova politica sono stati eccellenti: negli ultimi due anni Mint è cresciuta sia nella stabilità  e nell’affidabilità  generale, sia nell’ergonomia e nella cura dei dettagli.

Mint

L’installazione di Mint è simile a quella di Ubuntu e propone l’utilizzo di Lvm, un layer intermedio tra dischi e file system che offre molte funzioni avanzate.

Mint propone un’esperienza d’uso amichevole, fin dall’installazione: viene distribuita come immagine binaria Iso, in moltissime varianti. A meno di esigenze particolari, la versione da scegliere è quella basata su Cinnamon, nell’ediziona a 64 bit e completa di codec; Mint, infatti, realizza anche una variante “no codecs”, distribuibile senza vincoli anche nei Paesi con legislazioni stringenti sull’acquisizione di licenze per tecnologie di terze parti. Gli utenti comuni farebbero bene a scegliere la versione completa, poiché troveranno al suo interno tutto il necessario per riprodurre musica nei formati più comuni e per visualizzare le pagine Web con contenuti multimediali.

La procedura di installazione mostra la derivazione da Ubuntu: al boot viene caricato un ambiente live, per testare le principali funzioni del sistema operativo senza modificare la configurazione del computer o svolgere operazioni di manutenzione complesse. Sul desktop si trova l’icona per avviare l’installazione, che richiama una procedura guidata intuitiva, pur essendo piuttosto ricca di scelte se confrontata con quelle, sempre più brevi, di Windows o Mac OS. Le informazioni da inserire sono in gran parte banali: si deve impostare la lingua dell’interfaccia, il fuso orario, il layout della tastiera e altri dettagli di questo tenore. L’unico passaggio delicato è quello che riguarda il partizionamento dell’hard disk, ed è trattato tutte le cautele: l’installer, infatti, rileva la presenza di un altro sistema operativo e propone di aggiungere Mint restringendo le altre partizioni per ricavare lo spazio necessario.

Se si mantengono le impostazioni di default, Mint viene installato insieme a Windows (o a qualsiasi altro OS) senza perdere nessun dato e senza pregiudicare il caricamento, grazie a un menu di boot che consente di scegliere quale sistema operativo avviare. Si può anche scegliere di installare il sistema di gestione avanzata dei dischi Lvm, che aggiunge uno strato intermedio tra file dischi e partizioni, in modo simile a quanto avviene in Windows con i dischi dinamici (ma con più funzioni e opzioni). Si può anche cifrare l’intera installazione o la cartella dei dati dell’utente, per garantire la sicurezza dei documenti personali.

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