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Editoriale | Magazine

Teoria e pratica dell’open source

Dario Orlandi | 28 Febbraio 2017

Editoriale

Durante le ultime festività  natalizie si è avuta notizia dei problemi di Cyanogen Inc, l’azienda che controllava lo sviluppo della […]

Durante le ultime festività  natalizie si è avuta notizia dei problemi di Cyanogen Inc, l’azienda che controllava lo sviluppo della più nota e diffusa custom Rom Android, distribuita secondo il paradigma open source. Dalle ceneri di CyanogenMod è nato Lineage OS, un fork che sta cercando di chiamare a raccolta la comunità  di utenti e sviluppatori che in passato aveva decretato il successo di CyanogenMod, ma il futuro del progetto è più incerto all’inizio del 2017 di quanto non lo fosse soltanto sei mesi prima. La parabola di Cyanogen ha molte similitudini con altri casi del passato (su tutti quello che ha portato alla nascita di LibreOffice), e ha messo in evidenza alcune criticità  tipiche della filosofia open source.

Innanzitutto, continua a dimostrarsi difficile conciliare l’open source con le esigenze di una struttura di tipo commerciale: l’obbiettivo del profitto può portare a scelte dolorose (o miopi, a seconda dei punti di vista) quando si deve decidere la direzione da imprimere allo sviluppo di un progetto. Ma anche se il modello di business è efficace può essere difficile garantire l’unità  di intenti e la spinta propulsiva necessaria per continuare a innovare una volta che si è raggiunto un certo grado di maturità . Alcuni dei progetti open source di maggiore successo sembrano essere bloccati in questo plateau: Firefox, Ubuntu Linux e LibreOffice sono prodotti maturi e completi, ma non sembrano aver trovato una direzione precisa per continuare a innovare.

Il browser di Mozilla è rimasto indietro rispetto ai concorrenti dal punto di vista tecnico, e aspetta da anni l’implementazione di alcune novità  architetturali importanti, come per esempio il multithreading. Il caso di Ubuntu è ancora più eclatante: all’inizio del decennio Canonical ha tratteggiato uno scenario che prevedeva dispositivi convergenti, capaci di fungere da smartphone, tablet o Pc a seconda delle periferiche connesse, ma ancora oggi non è riuscita a rendere reale questo suo ambizioso progetto.

Nello stesso lasso di tempo Microsoft ha già  messo sul mercato ben due versioni di Windows che strizzano l’occhio a uno scenario simile; e se nel primo caso l’obbiettivo non è stato del tutto centrato, Windows 10 sembra aver trovato un buon bilanciamento. Il caso di LibreOffice è un po’ diverso: Microsoft sta facendo valere tutto il suo peso tecnologico ed economico per integrare in Office componenti online sempre più marcati; una strada che la Document Foundation difficilmente potrà  percorrere, a causa degli investimenti infrastrutturali necessari. Ma questa differenza di potenza economica rischia di scavare un solco sempre più ampio tra la suite per l’ufficio di Microsoft e tutti i concorrenti.

Dario Orlandi