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Editoriale | Magazine

Intel sembra in ritardo. E adesso è stretta tra AMD e ARM

Eugenio Moschini | 4 Ottobre 2018

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Dal 2014 Intel è ferma al processo produttivo a 14 nanometri, un ritardo inaccettabile per un’azienda che aveva fatto della […]

Dal 2014 Intel è ferma al processo produttivo a 14 nanometri, un ritardo inaccettabile per un’azienda che aveva fatto della regolarità il suo mantra.

Nel 2006 Intel si era imposta una “semplice” regola nello sviluppo dei suoi microprocessori, quella del Tick-Tock. Nell’anno del “Tick” introduceva nelle sue Cpu un nuovo processo produttivo, nell’anno successivo (del “Tock”) sviluppava una nuova microarchitettura. E così è stato: dal 2006 al 2014, puntuale come un orologio svizzero, il colosso di Santa Clara ha rispettato – abbastanza fedelmente – le scadenze. Ma dal 2014 è evidente come il movimento di questo orologio abbia dapprima rallentato per poi incepparsi. È dal 2014 che Intel non riesce a fare un vero salto tecnologico nel processo produttivo, che è fermo ai 14 nanometri introdotti con Broadwell.

Il ritmo forse era troppo alto per far fronte agli investimenti e questo è uno dei motivi per cui la strategia a due fasi Tick-Tock è stata trasformata in un processo a tre fasi PAO, ovvero Process-Architecture-Optimization, su un arco di tre anni. Tutto ciò non sembra essere bastato perché Intel sta reiterando la fase di ottimizzazione più e più volte. È dal 2015, anno di lancio di Skylake, che non abbiamo visto vere innovazioni sul fronte della microarchitettura. Con Kaby Lake Intel ha introdotto un processo produttivo a 14 nm migliorato (che ha chiamato 14nm+) e con Coffee Lake ha ripetuto con un 14 nm++. E la prossima generazione (la 9a) dovrebbe essere prodotta con un 14 nm+++. Ma la sostanza, per quanti “+” Intel possa aggiungere, non cambia: come a scuola non è che un 6+++ si trasforma magicamente in un 7. 

I primi “veri” processori costruiti a 10 nm dovevano essere i Cannon Lake per il mondo mobile. Erano previsti a inizio 2018, ma, dopo un iniziale ritardo di qualche mese, sono stati rinviati alla metà del 2019. Come se non bastasse, ed è una notizia di pochi giorni fa, per far fronte alle difficoltà produttive Intel ha spostato la produzione di una parte dei suoi chipset, attualmente a 14 nm, su nuovi impianti a 22 nm.

Intel, da inseguita a inseguitrice?

Quello che stupisce è come Intel, diversamente da quando in passato era almeno uno-due passi avanti a tutti, si trovi ora a inseguire la concorrenza. A rincorrere in primo luogo AMD, che già oggi è più avanti con le sue Cpu Zen+ prodotte a 12 nm. E che dovrebbe (ma mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo), introdurre una nuova architettura (Zen 2) e contemporaneamente un nuovo processo produttivo (7 nm) all’inizio del prossimo anno.

Ma, oltre che dallo storico rivale, Intel deve guardarsi anche da ARM che, il 16 agosto, ha presentato la roadmap dei suoi prossimi processori per notebook: quest’anno arriverà Cortex A76 (a 7 nm), seguito da “Deimos”(sempre a 7 nm) nel 2019 e da “Hercules” (a 5 nm) nel 2020. L’obiettivo di ARM è competere con le soluzioni Intel per il mondo mobile, puntando su quello che per lungo tempo è stato il punto di forza di Intel, il rapporto prestazioni/consumi. In questo modo ARM conta di ritagliarsi una fetta (il 10% entro il 2022-2023) delle soluzioni notebook. È ancora presto per dire se le valutazioni di ARM siano corrette, soprattutto perché sono molti i nodi da sciogliere.  E alcuni nodi sono fuori dal controllo diretto della stessa ARM (per esempio, Windows on ARM diventerà finalmente un valido sistema operativo?).

Quello che è certo è che Intel si trova stretta in una morsa: da un lato nel settore desktop e workstation deve difendersi da AMD, dall’altro nel settore notebook deve ricacciare le ambizioni di ARM. Il colosso di Santa Clara non ha certo i piedi di argilla, ma non può permettersi di perdere ulteriormente terreno.

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